Possiamo giocare a capire chi siamo? Possiamo usare i colori per vedere quanta differenza c’è fra come ci percepiamo e come ci percepiscono gli altri? E possiamo farlo partendo da Facebook e il modo in cui ci ha catalogato? Possiamo, purché con spirito leggero.
Nell’episodio precedente, i miei colleghi non mi hanno riconosciuto in una barzelletta “troppo crudele per essere mia”. Mi sono allora chiesto: “Come mi vedono gli altri? “E come faccio a influire sull’immagine di me?” E poi, per deformazione professionale, non ho potuto che domandarmi: “Come mi vede internet?”
In questo episodio della trilogia, propongo un gioco dell’identità per “capire” cosa Facebook sa di me, chi sono per lui e, in fondo, in questo processo dialogico che è l’identità, chi sono veramente.
Lo possiamo fare tutti, con leggerezza, quella propria dei giochi.
Il gioco dell’identità su Facebook.
Proviamo a fare un piccolo gioco: prestiamo attenzione a tutte le pubblicità che in un singolo giorno ci vengono suggerite mentre navighiamo su Facebook. Sapendo che non sono pubblicità casuali ma sono indirizzate espressamente a noi, quel noi ci deve chiaramente dire come Facebook ci vede!
Cominciamo con il gioco.
Step 1 di 6
Scorriamo la bacheca e appena vediamo un contenuto con l’etichetta sponsorizzato, ci soffermiamo e lo guardiamo.
Poi ci chiediamo: perché è comparso proprio a me?
Allora clicchiamo sui tre puntini che solitamente sono in alto a destra dell’inserzione e selezioniamo perché visualizzo questa inserzione.
E vedremo una cosa del genere:
Step 2 di 6
Ci possiamo adesso chiedere:
- Con che aziende simili ho interagito?
- Ho fatto like a una pagina di caffè?
- Ho visitato siti che parlano di caffè?
L’importanza di queste domande è più evidente se prendiamo come esempio un’altra pubblicità meno locale:
- Con che aziende simili ho interagito?
- Ho fatto like a una pagina di arredamento?
- Ho visitato siti che parlano di arredamento?
La risposta è sì.
Step 3 di 6
Continuiamo ma estendiamo. Non ci limitiamo alle sponsorizzate, segniamoci tutte le pagine che visualizziamo in uno scorrimento più o meno lungo della bacheca. Le abbiamo seguite nel corso degli anni e molto probabilmente, se le vediamo è perché in questo periodo abbiamo interagito con loro. Oppure sono pagine suggerite perché simili con nostre interazioni. In quel simile è nascosto un processo di catalogazione dell’algoritmo.
- Ho parlato di vaccini? Sì.
- Ho parlato di Ong? Sì.
- Ho fatto like a pagine di Ong? Sì.
- Ho letto cose in inglese? Sì.
Cito anche questa pagina perché è rappresentativa di tutta una lunga serie di pagine simili che ho seguito nel corso degli anni
Ci siamo quasi. Dopo aver raccolto i contenuti che idealmente l’algoritmo di Facebook ci presenta alla luce di un’interpretazione di quello che noi siamo per lui, è il momento di fare quello che facciamo tutti quando vediamo un’altra persona di fronte a noi. Ci concentriamo sul suo modo di vestire, la corporatura, l’atteggiamento, il tono di voce e tanti altri piccoli indizi. Poi, facciamo un’azione di ricomposizione integrando gli indizi in un insieme più ampio, che potremmo anche osare chiamare: identità.
Step 4 di 6
Ora cataloghiamo tutte le sponsorizzate e le pagine annotate e diamo loro delle etichette descrittive. Nel mio caso, le etichette potrebbero essere queste:
- caffé
- Padova
- cibo
- emozione
- acquirente online
- arredamento
- sanità
- inglese
E molto altro ancora.
Scriviamo le etichette su dei post-it, o in un file Excel. Io preferisco farlo su dei post-it.
Step 5 di 6
Guardiamo i post-it e cerchiamo di capire se ci sono delle ricorrenze, se ci sono delle categorie che accomunano più etichette, che le racchiudono in insiemi più ampi. Per me possono essere:
- ironico
- cosmopolita
- vizioso
- politico
- viaggiatore
- distaccato.
Facciamolo più volte, non ci accontentiamo delle prime categorie che riusciamo ad assegnare.
Step 6 di 6
Prendiamo le categorie che abbiamo trovato e scegliamo le prime quattro in ordine di ricorrenza, non tanto le più importanti per noi, ma quelle che si sono ripresentate più spesso.
Con le categorie trovate, costruiamo una frase di senso compiuto.
[Oggi ] Io sono un tipo che…..
Mettiamo a inizio frase le categorie più nutrite, dove rientrano più elementi.
Quella sarà la frase della nostra identità di Facebook.
La mia frase identitaria è questa:
[oggi] Sono un ragazzo che abita e Padova e che ama scherzare su ogni cosa in modo grottesco e alle volte crudele; adoro mangiare e viaggiare, parlare di politica e geopolitica, e di tematiche ambientali. Gestisco pagine Facebook e leggo spesso contenuti di marketing. .
Colonna sonora di questo scorcio di articolo
Falling man – Blonde Redhead
Bonus track
Potrebbe bastare anche così, abbiamo costruito una frase che racconta chi siamo agli occhi di Facebook. Ma questo gioco ci prende un po’ la mano e ci porta a indagare anche chi vorremmo essere e come siamo agli occhi degli altri.
Bonus 1
Prendiamo le categorie principali che sono emerse prima. Ne scegliamo quattro per praticità di esercizio, potrebbero essere anche di più. Con queste categorie costruiamo un diagramma, se sono quattro il diagramma sarà un rombo.
Ai vertici del rombo ci mettiamo le quattro categorie identitarie.
Posizioniamo ora un puntino colorato nei punti in cui “sentiamo di essere veramente“. Maggiore è la vicinanza al vertice, più ci sentiamo aderente a quella categoria. Naturalmente, la vicinanza dipende anche dagli altri angoli, se mi sento più vicino a Viaggiare rispetto a Scherzare, dovrà vedersi anche nel diagramma.
Nel mio caso questo è il risultato.
Uniamo i punti e vediamo il risultato. Una forma sconnessa e confusa che certo approssima quello che sentiamo di essere. Senza pretese.
La possiamo anche colorare
Bonus 2
Possiamo fare anche un’altra cosa molto interessante.
Stampiamo il rombo del nostro posizionamento di Facebook, quello vuoto, senza alcun puntino. Chiediamo allora ai nostri amici di inserire i quattro puntini nella posizione che ritengono sia più appropriata a quello che pensano di noi, facciamo anche unire i puntini e magari colorare l’area che si crea. Possiamo chiederlo ad amici stretti, a colleghi, a conoscenti, a clienti. Osando, per ogni gruppo di relazione, il colore di riempimento potrebbe essere diverso: rosso per gli amici, verde per i colleghi, azzurro per i conoscenti e via dicendo. Raccogliamo tutti i rombi e suddividiamoli secondo i gruppi che abbiamo creato. Stampiamo adesso il nostro diagramma colorato che rappresenta la visione che abbiamo di noi. Stampiamolo su carta trasparente e poi sovrapponiamola ai rombi delle visioni di noi che hanno gli altri.
Cosa vuole dire tutto ciò?
Quello che potremmo intravvedere, con la leggerezza del gioco, è uno scostamento identitario. Quante persone si avvicinano a quello che pensiamo di noi stessi? In quale vertice del rombo c’è più distanza? Quali gruppi di persone hanno scostamenti maggiori?
E ancora, riprendendo il primo capitolo in cui abbiamo parlato di Goffman e della sua teoria del controllo delle impressioni e della segregazione dei pubblici diversi, qual è la rappresentazione che costruiamo nei diversi palcoscenici della nostra vita? Ci sono delle direttrici in cui tutti i colleghi mi percepiscono in modo tanto diverso da come mi percepiscono altri gruppi di persone? Nel mio caso, il senso dell’umorismo macabro e il no sense potrebbe essere una di quelle direttrici?
[Piccolo inciso] Nel mio lavoro, mi trovo spesso a creare l’identità concettuale di un marchio, che sia di un prodotto, un’azienda, un’associazione o di un servizio. Tra le tecniche che uso, c’è l’elicitazione dei valori del brand e la progressiva loro categorizzazione fino ad approdare a un discorso coerente e di sintesi chiamato concept, e poi ancora più su, fino a un nome e un payoff.
Nel prossimo episodio
Nel prossimo e ultimo episodio, proverò a mostrare il dietro le quinte dello strumento di creazione delle inserzioni di Facebook Ads. Non tanto per insegnare a creare pubblicità, quanto per capire come i nostri comportamenti su Facebook vengano categorizzati e quindi favoriti. Per arrivare poi ad una conclusione, che oggi mi appare dannatamente solo un inizio di qualcos’altro.