Scegli il fotografo dalla musica che ascolta

Qual è il confine fra rubare un’idea e il farsi contaminare? E ancora, si può veramente copiare quando si tratta di arte e fotografia? Milioni di persone hanno fotografato e fotograferanno Venezia. Ne sono uscite e ne usciranno milioni di Venezie diverse.

Amo i musei.  Ma ancora di più amo i bookshop dei musei.

Hanno su di me un’attrazione che non mi spiego visto che gli altri tipi di negozi spesso mi creano quasi del fastidio.

Le gomme da cancellare con il nome della mostra (mai più senza), i sottobicchieri con la faccia dell’artista, le matite con il brillantino al posto del gommino (!), le guide della città da stropicciare, gli orecchini con Van Gogh, la tazza scrivibile hanno su di me un potere di seduzione che mi distrae dal buon senso di essere lì per, eventualmente, arricchire il mio intelletto con un libro dedicato alla mostra o all’artista.

Un giorno di qualche anno fa nel bookshop della Tate Modern a Londra invece, lasciai lì gli oggetti inutili e comprai un libro, per “migliorare l’inglese divertendosi”, mi dissi, e presi Steal like an Artist di Austin Kleon.

Qualcuno di voi potrà controbattere facendomi notare che quel libro ha più disegni che scritte e quindi non è un bell’affare per migliorare la lingua, ma trascuriamo questo piccolo dettaglio.

Il libro non dice nulla di rivoluzionario, ci insegna fondamentalmente a rubare idee in maniera elegante, travestendole da processo creativo. Ci assolve.

Ironia a parte, il focus è sul fatto che bisogna assorbire il più possibile dagli artisti che ci attraggono, tanto comunque, citando una pagina del libro:

Che il filtro personale sia determinante nel rendere unica e irriproducibile ogni opera mi è chiaro da tempo, forse è coinciso con il momento stesso in cui la fotografia è entrata a far parte in maniera così totalizzante nella mia vita.

Questa affascinante disciplina ti mette subito di fronte al suo (forse il più grande) assioma: persone diverse che fotografano lo stesso soggetto produrranno fotografie diverse.

Il vissuto del fotografo, e il suo conseguente punto di vista, diventa più forte dell’oggettività del soggetto (anche se sarebbe interessante parlare del concetto di oggettività, ma lasciamo la disquisizione ai filosofi).

Milioni di persone hanno fotografato e fotograferanno Venezia. Ne sono uscite e ne usciranno milioni di Venezie diverse.

Milioni di persone hanno fotografato e fotograferanno Venezia. Ne sono uscite e ne usciranno milioni di Venezie diverse.

Quindi, pulite le coscienze e confermato il fatto che rubare nell’arte non è un peccato perché l’attenuante è la molteplicità del proprio vissuto; il mio pensiero è andato oltre.

Mi sono chiesta infatti quanto noi creativi rubiamo consapevolmente o quanto entra nelle nostre tasche del cervello senza che ce ne rendiamo conto.

Probabilmente la seconda ipotesi ha una percentuale più alta.

Sto finendo la quinta stagione di Peaky Blinders, una serie di Netflix ambientata nell’Inghilterra degli anni 20.
Percepisco coscientemente che la visione di Francesca stesa sul divano è condizionata da Francesca fotografa: osservo ogni scena con la consapevolezza tecnica che mi fa apprezzare (e invidiare) il genio del direttore della fotografia.
Palette di colori sui toni del grigio, del giallo e del blu si mischiano a perfetti chiaroscuri e a controluce emozionanti.
Mi ritrovo a pensare a come siano posizionate le luci e come siano fuse sapientemente gelatine gialle e blu per mischiare dominanti chiare e fredde in una sintesi perfetta.
Ma che la fotografia di Peaky Blinders sia spaziale credo se ne possa accorgere chiunque; la parte interessante è percepire il contrario e cioè come la visione di questa serie possa condizionare il mio lavoro.
La scorsa settimana durante un servizio di moda, ho prodotto una fotografia in cui la modella nella posa e nell’atteggiamento riproduceva perfettamente una diva anni ‘20.

fotografia di moda padova

Un collega che sta guardando Breaking Bad sicuramente lo stesso prodotto lo avrebbe rappresentato in modo diverso.

I viaggi che ho fatto hanno cambiato il mio modo di guardare, la musica che ascolto il mio modo di percepire e tutto questo si traduce nella produzione di una fotografia.

Bisogna accogliere gli stimoli che riceviamo ,essere aperti alle esperienze: tutto ciò forma la personalità e rende il nostro percorso unico. Il nostro compito è riconoscere e valorizzare le nostre multipotenzialità.

Riguardo a questo concetto, trovo illuminante e molto utile  l’intervento di Emilie Wapnick a TedX:

Quando si parla di lavoro queste influenze vanno sintetizzate e tradotte. Questo perché anche il cliente analizza la realtà con il filtro delle emozioni che ha vissuto, dei film che ha visto, degli studi che ha fatto, del cibo che ha assaggiato, e di tutto quello che ha contribuito a creargli la propria cultura visiva.

Ed è per questo che è fondamentale lavorare con le moodbard ,che non sono solo delle cose che gli hipster usano per addobbare le loro raccolte Pinterest, ma sono dei veri e propri strumenti di lavoro che permettono di rendere tangibile un concetto.

Di creare un codice condiviso tra committente e cliente.

Mi ha fatto riflettere una discussione quasi filosofica avuta con i miei colleghi di Foresteria degli Autostoppisti sul concetto di eleganza.
Ci siamo resi conto che ognuno aveva una sfumatura di interpretazione diversa sulla stessa parola. La mente di ognuno visualizzava un’immagine diversa. Immaginiamoci cosa potrebbe succedere se un cliente mi chiedesse una “fotografia elegante” e non ci confrontassimo prima analizzando delle immagini.

Quindi la moodboard ci permette di fare sintesi, e rimane uno strumento fondamentale in un contesto lavorativo.

La produzione fotografica, e artistica in generale, emerge dalla prorompente necessità di comunicare qualcosa.

Fotografare è un bisogno di espressione e come tale, per sua stessa natura, non potrà mai compiersi.

Come dice Simona Guerra, con la quale ho avuto modo di fare un bellissimo workshop sulla fotografia consapevole, fotografare è un bisogno di espressione e come tale, per sua stessa natura, non potrà mai compiersi.

Che quindi sia il bisogno di fare uscire il disagio e la bellezza accumulata dagli input esterni o che gli input esterni siano solo un ponte per vedere e riconoscere il disagio e la bellezza che è in noi?

Per saperne di più:

La colonna sonora di Peaky Blinders raccoglie molti dei miei gruppi preferiti. Ogni canzone è sapientemente integrata alla scena rappresentata.

“Fotografia consapevole” di Simona Guerra Ed. Incontra

Steal like an Artist di Austin Kleon

Sul concetto di moodboard Giancarlo Salvador ha già scritto qualcosa che vale la pena leggere.

Lo scatto dell’immagine portante di questo articolo è realizzato per Debora Petrina e il suo album Be Blind.