Ritratti d’architettura

L’architettura è un soggetto da indagare con la fotografia, ma, per chi arriva da entrambe le discipline, l’architettura è anche uno sguardo, un’angolazione con cui guardare al mondo. Ed è bene averne consapevolezza, per imparare a conviverci.

Era Natale, cena a casa con amici.

Non si sa come, ad un certo punto ci siamo trovati divisi in due piccoli gruppi: sul divano i romantici, concentrati con sincera curiosità a sfogliare il tanto atteso album del mio matrimonio, e in piedi, ad analizzare la luce della mia nuova lampada della cucina, gli architetti, che gira e rigira continuo a ritrovarmi intorno causa belle amicizie strette all’università. Sì, sono architetto di formazione, e sì, fotografa di professione.

L’architettura non se n’è mai andata dalla mia testa, in effetti: il payoff del mio brand è “ritratti d’architettura”. Una dicitura un po’ altisonante, lo so, ma aiuta a descrivere il mio modo di fare fotografia e di considerare l’architettura come un soggetto da indagare, conoscere, raggiungere e rappresentare, proprio come si fa con il ritratto di una persona.

Quella sera, mentre di là si commuovevano di fronte allo scambio delle fedi e ridevano al ricordo di chissà cosa, noi sfogliavamo il book del mio ultimo servizio fotografico realizzato in un palazzo settecentesco. Mi sono sempre chiesta se la loro attenzione fosse rivolta agli scatti fotografici o al progetto architettonico. Se, cioè, analizzassero le mie scelte compositive o quelle dell’architetto; se cercassero il significato fotografico delle immagini o quello architettonico dell’edificio; se si sintonizzassero sul mio linguaggio comunicativo o su quello del progettista.

 Non mi sono risposta. Sono molti i fotografi di architettura che arrivano da una precedente vita di architetti, perciò il limite tra una e l’altra disciplina non dev’essere poi così netto. Chi progetta l’architettura e chi la fotografa condividono la stessa necessità di leggere la realtà tramite strumenti comuni: spazio, luce, geometria, colore, materia.

Un po’ di storia dell’architettura raccontata dalla fotografia

La prima immagine fotografica della storia rappresentava uno spazio architettonico.

Raccontare l’architettura attraverso la macchina fotografica significa poterne analizzare le diverse scale di progetto: vedute ampie studiano l’inserimento urbano e le relazioni con il contesto, tagli stretti puntualizzano la dimensione umana dello spazio architettonico e il suo utilizzo da parte di chi lo abita, crop e macro evidenziano i materiali e le soluzioni di dettaglio.

La relazione tra fotografia e architettura risale infatti già al momento dell’invenzione della fotografia: la prima immagine fotografica della storia rappresentava uno spazio architettonico, il cortile della Maison du Gras, la dimora di famiglia di Nicéphore Niepce.

Eliografia di Nicéphore Niepce, 1826

L’immagine fotografica si fa fin da subito strumento di rappresentazione visiva e riflessione critica, assume un ruolo progettuale al pari del disegno, del modello, del render. Viollet-le Duc apprezzava la fotografia come documentazione fondamentale e preliminare per interventi di restauro di architetture antiche; Frank Lloyd Wright nel suo primo periodo di attività si dilettava a testare la disposizione dei mobili negli spazi della sua abitazione/atelier e a fotografarla per poi commentare le immagini con i suoi collaboratori.

I documenti raccolti nel tempo si rivelarono presto un’opportunità per mappare il territorio, raccogliere una testimonianza e tramandare la memoria dell’architettura. Come delle enciclopedie, le monografie e le riviste di architettura si aprirono sempre più alla fotografia, che, se in un primo momento era considerata come documento storico, presto divenne uno strumento di propaganda per diffondere le diverse opere trattate o le varie teorie esposte. Le Corbusier perseguì come nessun altro l’obiettivo di costruire con la parola e con le immagini il mito della sua opera. Lo scatto fotografico divenne per lui un mezzo di diffusione dei suoi ideali, le immagini delle sue architetture sono diventate icone paradigmatiche, al punto da fare spesso ricorso anche ad interventi di ritocco per rafforzare l’effetto dimostrativo perseguito.

Provini fotografici di Lucien Hervè relativi alla Cappella di Notre-Dame-du-Haut di Le Corbusier, 1950 © FLC-ADAGP

La fotografia monumentalizza, ricalca, estrae e astrae il concept di progetto.

La fotografia monumentalizza, ricalca, estrae e astrae il concept di progetto.

Se quella sera i miei amici, nelle fotografie, abbiano visto il mio lavoro o quello dell’architetto poco importa, perché i nostri lavori si sono fusi, i due livelli comunicativi si sono intrecciati: ognuno può leggerci ciò che vuole, ciò che cerca. Quando fotografo un’opera architettonica, mi piace pensare di essere portavoce di un duplice linguaggio: quello dell’architetto, al quale le mie immagini si affiancano come strumento di documentazione e promozione della sua opera, e il mio, che con lo scatto scelgo come raccontare l’opera stessa.

L’architettura è creata nello spazio dall’architetto, e con una scelta sapiente del punto di ripresa, della composizione grafica, della lettura di luce e ombra, è anche creata nell’immagine dal fotografo. 

È evidente, dunque, che la fotografia, nel tempo, ha superato la dimensione raffigurativa comune al disegno o al testo, diventando ben più di un mezzo rappresentativo o di un intervento opzionale. Anzi, si potrebbe affermare che gli stessi architetti, evidentemente, producono più o meno consciamente opere il più possibile fotogeniche.

Book fotografico, 2019  © Francesca Vinci

«Ma lo sapevate che Gaudì era vegetariano? E, a proposito di cena, che ne dite se…»

E così, con una delle sue tipiche notizie di cultura generale, Giacomo quella sera ha riunito tutti, architetti e non, attorno al tavolo per una serata semplicemente tra amici.

Per saperne di più

Tra fotografia e architettura. Carlo Mollino, James Hillman e i passaporta di Harry Potter«Ecco perché le fotografie di Mollino sono così belle. Sono anch’esse architetture.»

Così la fotografia ha costruito l’architettura del Novecento«Possiamo cogliere come molti fra i progettisti moderni utilizzassero la fotografia in maniera consapevole.»

Le Corbusier viaggiatore e reporter «Fotografi come Hervé o Stöller sono stati sublimi mistificatori di spazi e chiaroscuri, dove l’architettura come un nudo, un paesaggio, un fiore, è soltanto un fotogenico pretesto iconico.»

Francesca Vinci

Laureata nel 2014 in Architettura all’Università IUAV di Venezia, capisce già durante gli studi che il suo futuro è nella fotografia: nel 2012 un tirocinio in Benin e nel 2013 la tesi di laurea in Cile la convincono che il modo in cui le viene meglio leggere il mondo ed interiorizzarlo è attraverso la macchina fotografica. Dopo alcuni workshop, frequenta a Milano un Master in Fotografia di Ritratto all’Accademia John Kaverdash e poi in fotografia di Architettura all’Istituto Italiano di Fotografia. Nel frattempo dal 2015 lavora per uno studio fotografico specializzato in design d’interni, per poi avviare la libera professione nel 2017. Si dedica principalmente alla fotografia di architettura, ma segue anche altri ambiti, soprattutto in collaborazione con Francesca Bottazzin, che nel 2019 la introduce al progetto di Foresteria degli Autostoppisti, [non] un'agenzia di comunicazione con sede a Padova.